L'Umanità in uno Scatto: Intervista al Fotografo Luciano De Simone

Luciano De Simone è molte cose, tra queste un fotografo in grado di cogliere l’umanità e gli stati d’animo delle persone comuni nei suoi scatti. Poche settimane fa è stato pubblicato per 42 Records il cofanetto a tiratura limitata “Vivo / I Nostri Giorni”, che contiene il suo meraviglioso libro fotografico e un vinile 7'' con le due canzoni pubblicate da Andrea Laszlo De Simone, figlio di Luciano. Il box era andato sold out in 24 ore prima di Natale e da ieri è tornato disponibile a grande richiesta!

Affascinati dagli scatti in analogico realizzati da Luciano tra gli anni '70 e '80, lo abbiamo intervistato.

© Luciano De Simone

Buongiorno Luciano, benvenuto a Lomography! Potrebbe presentarsi ai lettori del nostro Online Magazine?

Credo di essere un fotografo atipico e più in generale un professionista atipico dato che faccio molte altre cose. Sono nato a Milano, sono calabrese di origine, romano di adozione e vivo a Torino da molti anni. Nasco fotografo, figlio d’arte. Ma sono anche un urbanista mancato e mi occupo di comunicazione territoriale, sociale, culturale e più in generale delle trasformazioni del territorio e delle città; di regia, ideazione di eventi, installazioni e modelli di comunicazione di progetti pubblici di interesse collettivo, in cui convivono un po’ tutte le forme espressive, fotografia compresa. Sperimento sempre e sono contrario alla cultura del copia e incolla e all’uso della tecnologia fine a se stessa e concettualmente continuo ad usarla con un approccio “analogico”. In ogni caso mi reputo un artigiano e non un artista.

Ci racconti del suo background fotografico. Qual è la sua storia? Quando ha iniziato a fotografare?

Mio padre aveva un atelier fotografico in via Margutta, a Roma e io ci ho lavorato dall'età di 14 anni. Ho deciso che avrei fatto anche io il fotografo. Ho tre diplomi in fotografia, ma tutto ciò che so me l'ha insegnato mio padre. Siamo alla fine degli anni ’60 - e come parte integrante del percorso m’impose, regalandomi la mia prima macchina fotografica (una Lubitel 2 di fabbricazione russa) di non tornare a casa senza aver scattato almeno un rullino al giorno. A lui andava bene tutto, ero libero, ma avrei dovuto scattare ogni giorno, finché la priorità del mio sguardo, anche senza macchina fotografica, non si fosse deformata a tal punto da leggere la realtà in modo fotografico, usando cioè non solo lo sguardo ma anche, e soprattutto, l'immaginazione. Credo di aver lavorato in ogni campo della fotografia, dall’architettura all’industriale, dalla pubblicità al giornalismo, all’edilizia. Ma il mio specifico fotografico, diciamo la mia vocazione resta il ritratto, insieme alla fotografia di strada che ho coltivato in questi ultimi anni.

© Luciano De Simone

Ha scritto: “Amo le fotografie di strada, soprattutto quelle brutte, sporche e cialtrone; quelle fatte non per essere consegnate alla storia della fotografia ma soltanto per non rendere del tutto vacuo il gesto di guardarsi intorno.” Che cosa la guida verso un volto, un dettaglio, invece di un altro, nel suo gesto di guardarsi intorno?

Sostanzialmente la forte attrazione che provo nei confronti dell’umanità e degli stati d’animo delle persone comuni che reputo uno dei veri patrimoni della nostra vita. Anche se ne ho fotografati diversi, non sono interessato fotograficamente ai personaggi pubblici perché il loro rapporto con la fotografia è necessariamente artefatto. Intendo la fotografia come potenziale fabbrica di significati. Non mi interessano i volti delle persone in quanto “chi” ma in quanto “cosa”. Il mio sforzo è quello di rendere i volti rappresentativi di qualcosa che appartiene all’intimo di tutti, non alla valorizzazione estetica di “qualcuno" ma alla restituzione di “qualcosa”. Amo trattare i volti delle persone comuni portandoli alla dignità espressiva e comunicativa degli eroi. Le icone vere del nostro tempo non sono gli idoli delle folle, sono le persone comuni, quelle provate dall’esistenza e per lo più invisibili in un mondo che privilegia l’effetto facile a scapito della potenza e dell’intensità. E per me la bellezza sta nella sincerità che riesco a conferire a questi volti attraverso l’uso della luce, del processo di sgretolamento della perfezione tecnica e di un rapporto autentico che mi sforzo di creare con le persone che ho di fronte. Uno dei rapporti più intimi tra le persone è quello che si stabilisce tra un fotografo e la sua vittima, perseguono obiettivi e finalità diverse e alla fine, se la fotografia fa il suo mestiere, si ritrovano in un filo invisibile che li accomuna nell’umanità che riescono ad esprimere.

A metà dicembre è uscito per 42 Records il nuovo cofanetto a tiratura limitata “Vivo / I Nostri Giorni”, che contiene il libro fotografico con i suoi scatti e il vinile 7'' con le due canzoni omonime pubblicate da Andrea Laszlo De Simone, suo figlio. Il libro è pensato per essere sfogliato durante l'ascolto del disco, in un'esperienza immersiva multisensoriale. Com'è nata l'idea?

L’idea è venuta ad Andrea a cui sono sempre piaciute le mie fotografie quasi più che a me. All’inizio ero un po’ scettico. Ma siccome sono un tipo che non si tira indietro di fronte a nessuna idea originale, soprattutto quando è tesa a dribblare l’ovvio, e mi fido di Andrea col quale mi diverto molto a far le cose, ho accettato. Mi sono catapultato in un tuffo immane nel passato che mi ha sottratto molte notti per diversi mesi nel lavoro di scelta delle immagini. Ogni fotografia di questo libro è stata scelta fra le tante e tante, tantissime, realizzate negli anni. è stata scelta mettendole sotto, fino alla nausea, le due canzoni. Forse perché la musica è anche visione e l'immagine è anche sentire, ogni volto di questo libro, 67 fotografie, contiene il senso dei due pezzi, l'intimità universale che riverberano. In ogni caso questo libro-disco è stato anche una scelta di cuore che speravamo (Andrea lo sapeva, io lo speravo) potesse procurare a chiunque se lo ritrovasse tra le mani, un'insolita emozione. E i tanti caldi video ricevuti dalle persone che l’hanno preso, in cui testimoniano con affetto il momento dell’ascolto con il libro in mano, ci hanno fatto capire che abbiamo fatto una buona cosa. Forse il vero valore di questo progetto sta nella sua apparente inutilità, così come è inutilmente necessario ritrovarsi per qualche minuto nella potenza degli stati d'animo.

È un progetto senza obiettivi strumentali. Senza mercato, senza successo. Un piccolo atto d'amore per noi stessi, in cui le persone non sono “qualcuno”, ma “qualcosa”. Una rilettura universale della bellezza scollegata da ogni prassi di fruizione della bellezza a cui oggi siamo abituati, sensibili a un lembo di pelle di ginocchio che fa capolino da un jeans strappato ma distratti e indifferenti di fronte a due occhi qualsiasi; assoggettati agli schemi senza neanche sceglierlo in fondo, come i media ci hanno addestrato a fare. Questo disco e questo libro sono due cose da usare e non da consumare e non stanno in nessuna classifica. Vivono senza motivo, come le emozioni. Forse ci riconnettono per un attimo al calore di esserci. Il calore della carta, in ultimo, si contrappone alla dittatura del digitale. Erano due canzoni e sono diventate un libro e due canzoni.

Le fotografie del libro sono state scattate su pellicola circa quarant'anni fa, tra gli anni '70 e '80. Com'è cambiato il suo approccio alla fotografia negli anni? Scatta ancora in analogico?

Per la verità, scatto pochissimo e quasi mai in analogico, soprattutto da quando è diventato più una moda nostalgica che una scelta consapevole, anche perché storicamente anacronistica, una specie di vezzo da social. Il mio approccio non è mai cambiato. Non credo ci sia una regola univoca, che vale per tutti, nel rapporto con la fotografia. Per quanto mi riguarda occorre sviluppare la consapevolezza che nella macchina fotografica deve entrare realtà ed uscire immaginazione sotto forma di metafora universale. In questo modo la fotografia si fa linguaggio ed esce dalla sfera meramente documentale. Che si scatti in digitale o in analogico il criterio non cambia. Non è mai stata la macchina fotografica a fare le fotografie ma i fotografi. Oggi per lo più seguo progetti fotografici e sviluppo ricerca personale con la fotografia di strada. Le fotografie di questo libro hanno un fascino particolare perché scattate in un momento storico particolare che, per quanto lontano, era proiettato nel futuro, per questo sono ancora attuali con i loro bianchi e neri purissimi e con le storie personali che si portano dentro. Al tempo era vita e voglia di spezzare l’ortodossia tecnica ed estetica. Farlo oggi non sarebbe altro che un esercizio di stile.

© Luciano De Simone

Una delle nostre fotografie preferite è “Amanti”, che è anche la copertina dell'album “Uomo Donna” di Andrea Laszlo de Simone. Che storia si nasconde dietro questo bellissimo scatto?

Correvano gli anni '70, l'amore nasceva ovunque. Invito un po' di gente, tra quella che incontro tutte le mattine al bar, a prestarsi ad un cervellotico shooting fotografico con persone che non si conoscono tra loro. Uno via l'altro li riprendo tutti, da soli, in gruppo, a testa in giù, in ogni modo. Poi tocca a loro, lei apprendista parrucchiera, lui squinternato venditore di cinte in cuoio e ninnoli vari sugli scalini di Piazza di Spagna. Ad un tratto gli faccio: ora baciatevi. Mi guardano entrambi intordonuti, ma non ci pensano su un attimo e si attaccano. Alla fine dello shooting si sono messi insieme e non si sono più staccati. Alla fine, ovviamente, la foto più vera è diventata anche la più bella. Nata dal caso e dal tempo come tutte le cose più belle.

Qualche progetto interessante di cui si sta occupando o di cui si occuperà che vorrebbe condividere con i nostri lettori?

C’è e vorrei condividerlo, ma mi dicono che non posso :)


Grazie mille Luciano per questa fantastica intervista! Seguilo su Instagram e vai al sito di 42 Records per ordinare una copia di “Vivo/I Nostri Giorni”, da ieri di nuovo disponibile!

Scritto da ludovicazen il 2023-01-17 in #persone

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