Lomography x Perimetro - 36 Shots About, la tua Storia in un Rullino: Intervista a Giorgia dal Molin
3Una grande open call: più di 250 candidature, un network di 39 partner tra istituzioni culturali, scuole di fotografia, magazine, laboratori e spazi creativi indipendenti che ci hanno supportato selezionando i 49 progetti finalisti, 7 per le 7 città, che hanno mappato questo viaggio tra le vostre storie. Visioni libere e personali tutte diverse tra loro, senza regole o temi da rispettare, per una fotografia che, in 36 scatti, riscopre il piacere della sorpresa e la bellezza dell’imprevisto. Oggi vi presentiamo il progetto di Giorgia dal Molin, dal titolo Ostranenie di Paola, realizzato su pellicola LomoChrome Metropolis.
Ciao Giorgia, benvenuta! Potresti presentarti lettori del nostro Online Magazine?
Ciao! Sono una giovane fotografa originaria di Belluno, quattro anni fa ho interrotto la mia carriera di tecnica radiologa per trasferirmi a Milano e studiare fotografia. Ad oggi mi occupo di fotografia come producer e fotografa per campagne moda. Parallelamente porto avanti i miei progetti personali come fotografa documentarista.
Puoi raccontarci del tuo background fotografico? Quando è iniziato il tuo viaggio nel mondo della fotografia?
Ho iniziato da piccolissima fotografando con delle compattine regalatemi da mio papà qualsiasi cosa mi capitasse a tiro, concentrandomi tanto sull'idea che quel qualcosa potesse un giorno non esserci più e che quindi fotografandola non l'avrei dimenticata. I primi ricordi fotografici sono delle composizioni con degli animali giocattolo in scenari immaginari in paesi lontani e una cartella di foto che ancora conservo chiamata 'ombrellino': contiene poche foto a un piccolo ombrello rosa che vendetti a un mercatino di paese perchè diventato troppo piccolo per me. La fotografia mi ha accompagnata silenziosamente anche negli anni dell'università mentre studiavo tecniche di radiologia ed è stata un mezzo per scoprire e documentare i viaggi scialpinistici e nautici con mio papà in Italia. Ho deciso di far diventare questa compagna un mestiere solo nel 2019 quando mi sono trasferita a Milano dopo aver ottenuto una borsa di studio all'Istituto Italiano di Fotografia a cui devo molto della mia formazione.
Raccontaci di questo fantastico progetto: com'è nata l'idea?
È da diverso tempo che sto raccogliendo immagini della mia famiglia. Non avevo ancora fotografato mia zia Paola e il contest è stato un'ottima spinta verso un'esperienza emotivamente per me molto coinvolgente. Quando tra le città ho letto 'Torino' mi si è delineato quasi istintivamente il progetto nella mente e l'ho elaborato e definito successivamente. Da quando l'ictus ha cambiato la personalità espressiva di mia zia, ho sempre voluto trovare un modo per rappresentare questo cambiamento e sovrapporre la (sua) visione di Torino con la persona che è mia zia oggi.
Hai raccontato una storia familiare molto personale. Che esperienza è stata per te darle una nuova luce attraverso la fotografia?
Ho sempre metabolizzato gli eventi attraverso la fotografia: dalla scomparsa di mia mamma, alla dispersione delle ceneri, dallo scioglimento di ghiacciai di casa ad altre esperienze intense che ho vissuto. Avere la possibilità di fare la stessa cosa per comprendere il profondo cambiamento di mia zia è stato un momento familiare intenso e prezioso sia per me che l'ho scattato sia per chi le sta vicino: ho scoperto aspetti di zia che prima non conoscevo (come ad esempio la sua passione di una vita per la pittura), ho vissuto tre giorni a stretto contatto con lei e zio Ernesto, cosa che non capitava da moltissimo di fare. Il media della fotografia rappresenta un potentissimo filtro-scudo per qualcosa che percepiamo come 'troppo': troppo complesso da capire, troppo doloroso, troppo lontano, troppo bello per poterlo descrivere a parole. Avere la possibilità di dare una lettura per immagini a un'emozione che ci coinvolge con forza trovo possa spacchettarla in parti più semplici, più gestibili e comprensibili e quindi anche condivisibili.
Per questo progetto hai scelto la nostra pellicola LomoChrome Metropolis: come mai questa scelta e quali caratteristiche ti hanno colpito particolarmente di questa pellicola?
La pellicola Metropolis è marcatamente desaturata e questo mi trasmetteva un'idea di perdita, di mancanza di qualcosa (la capacità di esprimersi, in particolare). Mi sembrava un ottimo aiuto per iniziare la mia narrazione di questa mancanza di capacità di esprimersi da una parte e incapacità mia di comprendere tutto dall'altra. Purtroppo la pellicola ha preso luce e questo, se inizialmente ha rappresentato per me motivo di sconforto, si è rivelato un aiuto nella narrazione una volta fatto l'editing, ha esaltato la distorsione della comprensione cambiando i colori della pellicola e mascherandone alcune porzioni.
Quale fotocamera hai utilizzato?
ho utilizzato una canon AE-1 Programme. Fu acquistata da mio zio alla fine degli anni '70 ed è stata la sua compagna durante meravigliosi viaggi in Africa.
Avere solo 36 scatti a disposizione è stato per te uno stimolo oppure un limite per il tuo processo creativo?
Era la prima volta che dovevo programmare a priori quanto e cosa scattare e inizialmente mi spaventava non avere una quantità di scatti indefinita. Volevo dare spazio sia alla rappresentazione della città nel visitarla con gli zii attraverso le parole di Ernesto e i gesti di zia, sia dare spazio all'ambiente domestico di zia Paola e dedicare loro dei ritratti. Dover decidere prima quanto spazio dedicare a ogni rappresentazione, mi ha aiutato a previsualizzare il progetto e realizzarlo al meglio.
Cambieresti qualcosa se potessi riscattare lo stesso rullino?
La pagina di quaderno scritta a matita contiene una delle poche frasi che mia zia ripete spesso in segno di approvazione, avrei voluto farlo scrivere a lei ma mi sono trattenuta dal chiederlo trovandola una richiesta troppo 'invadente'. Avrei voluto anche includere uno scatto che potesse rappresentare me al meglio ma ho dato precedenza ad altre immagini.
Che ruolo ha per te la fotografia analogica nel 2024?
Per quanto possa pensarsi banale, la possibilità, oggi, di rallentare, è vitale anche il processo creativo. Limitare gli scatti, sia per una quantità predefinita dal rullino, sia per contenere i costi, indirizza il fotografo verso una scelta più ponderata e consapevole del soggetto e dell'inquadratura, scartando quindi il superfluo, istruendo l'occhio e la visione a una maggior attenzione. Questo lento processo di acquisizione, parallelamente, diventa un lento processo di lettura che acuisce la sensibilità e la profondità del fotografo nel leggere il soggetto prima di scattare. Mi piace pensare che la fotografia analogica sia la fotografia di chi è irrimediabilmente emotivo ed affetto dall'affezione per lunghi voli pindarici.
Hai qualche progetto o collaborazione interessante in programma?
Desidero portare avanti e concludere il massiccio progetto sulla mia famiglia, una sorta di album narrativo genealogico. Devo proseguire anche la narrativa dei rifugi alpini dei progetti 'Ho visto uomini(?)' e 'A forza di essere vento'. Nei primi mesi dell'anno lavorerò per realizzare un progetto fotografico e narrativo su un importante opera architettonica nella mia provincia. Il mio sogno, che porto avanti da tempo, è di potermi trasferire per qualche mese in una piccola isola abitata da poche persone (ne ho un paio in mente che mi attirano profondamente), un'isola priva di strade, prima a tratti di contatti col mondo, un'isola lenta; vorrei avere la possibilità di raccontare quest'isola e i suoi abitanti scoprendone lentamente la vita le abitudini.
Segui Giorgia dal Molin sul suo sito e su Instagram.
Scritto da ludovicazen il 2024-02-02 in #gear
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