"Fotografare per salvare dalla distruzione": Il viaggio in Transiberiana di Eleonora Sacco

Eleonora Sacco è una ragazza laureata in linguistica, viaggiatrice appassionata dell'Est, artista dell'autostop, del free camping e del CouchSurfing, e appassionata di fotografia. Ci siamo imbattuti nel suo splendido blog Pain de Route dove abbiamo trovato tanti spunti per viaggi in mete insolite, racconti d'avventure in autostop, diari di viaggio e tante belle fotografie da parti di mondo tanto snobbate quanto affascinanti. Oltre a fornirci pratici consigli per viaggiare con lo zaino in spalla, Eleonora promuove attivamente un modo di viaggiare consapevole e come dice lei, "al nocciole delle cose".

Dopo aver incrociato le nostre strade in Asia Centrale, abbiamo pensato a lei prima che cominciasse il suo viaggio su una delle tratte ferroviarie più lunghe del mondo: la Transiberiana da Mosca a Vladivostok. Così, le abbiamo affidato la nostra Simple Use Camera CN 400 per documentare il suo viaggio attraverso il paese più grande del mondo, la Russia. Partendo da Mosca, Eleonora ha percorso più di 9000 chilometri attraversando le regioni più remote di questo paese, passando dalla Siberia e finendo sull'isola di Sachalin, prima di concludere il suo viaggio a Vladivostok.

Visitando il tuo blog ci siamo innamorati anche noi di quell’Est che hai esplorato in lungo e in largo. Come nasce la tua passione per questa parte di mondo e cosa ti porta a tornare ogni volta in quei luoghi?

Questa passione inarrestabile per l’Est nasce quando mi sono scontrata, per la prima volta, con la sua fortissima relazione (non sempre ricambiata) con l’Europa Occidentale e insieme con la mia totale ignoranza della sua cultura e della sua storia. Da lì ho dovuto semplicemente rimediare il più in fretta possibile: mi era nata all’improvviso una sete di conoscenza inestinguibile.

L’ho scoperto a 18 anni e non riuscivo a capacitarmi di come nessuno potesse avermelo mai detto prima. Nel 2013 Sarajevo mi ha emozionata così nel profondo che in ogni viaggio successivo non ho fatto altro che cercare la stessa emozione in luoghi diversi. Il “Nuovo Est” cambia però così in fretta che spesso, tornare negli stessi luoghi significa quasi fare un viaggio in una nuova meta, ma con la gioia del rivivere i propri ricordi già durante il viaggio. E poi certi paesi, come la Russia, sono talmente grandi e diversi che non basta un’intera vita per esplorarli come si deve. Tornare è spesso una vera necessità.

Considerando la tua esperienza di fotografa di viaggio, quanto consideri “fotogenica” la Russia e le sue genti?

Quello che al mio primo viaggio mi colpì terribilmente della Russia è la sua essenza “non globalizzata” e autenticamente diversa dall’Occidente. Non nel senso che la cultura russa non sia occidentale (un po’ lo è), ma nel senso che l’estetica russa, il quotidiano, l’attitudine alla vita sono unici e diversi da quelli mai visti al di fuori dello spazio ex sovietico. In Russia tutto esiste nella sua variante russa e, nonostante manchi poco al trentesimo compleanno del crollo dell’URSS, il modo di vivere sovietico era così entrato in profondità nella vita delle persone che non credo se ne andrà mai del tutto.

Le persone spesso hanno un modo bizzarro di vestire, il paese ha un’estetica ancora d’altri tempi, specialmente fuori da Mosca e San Pietroburgo; in generale la vita alla russa è molto spontanea e questa è una gran fortuna per un fotografo di viaggio.

Com’è stato documentare il tuo viaggio in Transiberiana con una fotocamera? Quali reazioni ha suscitato nelle persone che hai incontrato il fatto di essere fotografati/e?

Il vero e forte motivo per cui la Transiberiana è un viaggio straordinario è perché si fanno incontri leggendari. In Russia c’è una grande capacità di rassegnarsi al destino (e con ben poche lamentele). Sui treni russi le persone sanno aspettare, sanno godersi il tempo che passa, sanno come trascorrere le giornate: chiacchierano, fanno domande a più non posso, offrono caramelle ai vicini di letto, bevono tè bollente a non finire. Basta poco per entrare abbastanza in profondità nelle loro vite e a quel punto chiedere una foto è davvero semplice.

Documentare il viaggio in analogico, è stato, oltre che emozionante, anche come una piccola missione non di poca importanza: ho deciso che avrei fatto un ritratto ad ogni persona che mi ospitava. Per certi luoghi remoti come l’isola di Sachalin o la Oblast’ autonoma degli Ebrei, ho sentito anche un pizzico di responsabilità nel fotografare luoghi dove ben pochi italiani (ma forse anche occidentali) siano mai stati.

Il mondo ex-sovietico è un luogo insolito dove fare una vacanza o semplicemente viaggiare, ed è spesso snobbato o considerato inospitale. Che tipo di esperienze hai avuto finora e cosa diresti a chi ancora ha delle perplessità sulle meraviglie che hanno da offrire questi territori? E se dovessi convincere gli appassionati di fotografia a viaggiare in quei luoghi?

Le persone si raccontano, i luoghi si fanno più belli e coinvolgenti, si tocca con mano anche la tradizione più antica ma ancora vivissima. A chi viaggia di fretta pensando di non aver nulla da imparare i paesi e le persone diventano ostili e monotoni. Sono luoghi che vanno trattati con immensa delicatezza, perché la loro cultura unica è anche molto fragile. Le mie esperienze, complice anche il fatto di parlare il russo, lingua franca in questi paesi, sono sempre state tutte indimenticabili grazie al contatto strettissimo con gli abitanti del posto: dai contadini del Pamir al confine con l’Afghanistan, ai monaci dei più remoti angoli dell’Armenia; dai bambini nei vigneti della Transnistria agli studenti dei sobborghi di Kiev, dai pellegrini nell’artico russo fino agli ingegneri petroliferi dell’isola di Sachalin. La bellezza e diversità dei paesaggi è niente in confronto alle centinaia di popoli, lingue, religioni e tradizioni che si incontrano. Il mondo ex sovietico è una miniera d’oro per i curiosi, per chi si appassiona al destino di genti dimenticate. Esplorarlo a fondo in autonomia è ancora difficile e serve una dose massiccia di studio, pazienza, motivazione e spirito di adattamento, ma la ricompensa supera sempre le aspettative. Prima di tutto da un punto di vista di esperienza di viaggio, e questo si riflette inevitabilmente sulla fotografia.

Viaggiare per un mese su di un treno lento e magari anche scomodo. Il treno è un mezzo che viene utilizzato sempre meno a favore del più comodo aereo. Cosa ti affascina di questa modalità di viaggio? Come definiresti il tuo modo di viaggiare?

Ho iniziato a viaggiare grazie alle tariffe stracciate dei voli low cost, ma ci è voluto poco per capire che un weekend mordi e fuggi in una capitale europea non lascia un’impronta tanto profonda quanto macinare ogni singolo chilometro via terra, attraversando campagne, deserti, imponenti vallate, foreste sconfinate. Credo sia naturale, tra i viaggiatori, un progressivo evolversi verso il viaggio lento, dove c’è tutto il tempo necessario per riflettere, godersi i momenti, ascoltare le persone che si incontrano. Il treno è davvero una sintesi perfetta tra due estremi: interi giorni di viaggio dedicati esclusivamente alla contemplazione del paesaggio, ad osservare gli stili di vita dei propri vicini, a bere tè, dormire e nemmeno in maniera così scomoda. Alla fine, il treno russo è un mezzo essenziale, pulito, preciso, ma dove non manca niente: un’esperienza completamente diversa rispetto al prendere un treno in Europa occidentale e quella più vicina al mio modo di viaggiare. Una caratteristica imprescindibile nei miei viaggi è l’elemento umano, e il treno lo enfatizza ancora di più, fa incontrare le persone.

Ogni viaggio viene preparato con cura (e tantissima ricerca) prima e durante, ma il vero “insegnamento” arriva più avanti, col tempo, una volta tornata a casa. Nei mesi successivi, ma in certi casi anche negli anni, dalla memoria emergono dettagli che avevo trascurato e che assumono nuovi significati, i momenti e gli incontri più salienti si delineano con più chiarezza. In sostanza, il “carattere” del viaggio si fa preciso ed emerge al meglio.

Tra le foto del tuo viaggio ce n’è una che ci ha colpito particolarmente e ci ha trasmesso una gran sensazione di libertà, volevamo conoscere la storia dietro questa foto.

Questa foto racchiude tutta l’emozione che ho provato nella mia settimana trascorsa sull’isola di Sachalin. Prima di arrivare avevo molta paura: Sachalin è un luogo davvero remoto dove pochissimi viaggiatori sono stati, non c’è turismo straniero, online scarseggiano informazioni di qualunque tipo e mi sono buttata alla cieca, ispirata solo dai reportage scritti da Anton Chekhov a fine Ottocento. Appena scesa dal minuscolo aereo tra Habarovsk e Yuzhno-Sakhalinsk, la capitale dell’isola, ho sentito il profumo del mare – dopo quasi 9.000km in treno – e mi sono commossa. A Sachalin ho mantenuto questo stato d’animo grazie all’accoglienza strabiliante degli abitanti. Avevo contattato due ragazze su CouchSurfing che non erano in grado di ospitarmi, ma mi hanno affidata alle loro rispettive migliori amiche: Nadezhda e Tatiana, a cui mi sono affidata, di nuovo, alla cieca. Il terzo giorno in città stavo cercando di capire come raggiungere il mare di Okhotsk con i mezzi pubblici, quando Tatiana mi ha detto che avrebbe chiesto a un suo amico di portarci in macchina, dopo il lavoro. Mi sono fidata e sono salita sulla grossa jeep di Sasha, un fotografo nato nell’estremo nord dell’isola, discendente dei detenuti portati dagli zar nella seconda metà dell’Ottocento. Quella sera sono finalmente uscita dalla città e con loro ho attraversato per la prima volta la vegetazione tropicale. Questo era il momento in cui, per la prima volta, ho davvero visto la fisionomia dell’isola in tutta la sua selvaggia bellezza e in cui ho trovato in Tatiana una vera compagna di viaggio e amica.

Nelle tue fotografie hai ritratto spesso le persone che hai incontrato durante il viaggio. Come hai conosciuto queste persone e che tipo di rapporti si sono creati durante il viaggio?

Quasi tutti i ritratti sono dei miei host CouchSurfing, un sito che permette di ricevere ospitalità gratuita e disinteressata in tutto il mondo, lo uso in maniera costante ormai da quattro anni. Con le persone ritratte si è instaurato un rapporto molto profondo, ho quasi sempre avuto la sensazione di conoscere queste persone da una vita e allo stesso tempo ho sentito la responsabilità di dover custodire i loro segreti. Essere ospitati da persone diverse in luoghi diversi dà atmosfere uniche ai luoghi.

Sono stata ospitata da programmatori, interpreti russo-giapponese, cassiere di supermercati, nail artist, studenti, import manager di mobili italiani, insegnanti e ho conosciuto le loro famiglie. Se ho fatto loro dei ritratti ho cercato che fossero il più possibile spontanei, in momenti significativi, quando il nostro rapporto si era già consolidato.

Qual è il soggetto, tema, o paesaggio che preferisci fotografare? Come hai scelto i soggetti o i panorami da fotografare?

Mi piace fotografare la vita nei treni, come le persone trascorrono le ore, come “arredano” gli spazi comuni che diventano loro per qualche giorno, ma in generale l’integrazione tra uomo e paesaggio. Non cerco solo il bello, fotografo quello che mi colpisce e che mi dà sensazioni discordanti, oppure l’estetica sovietica in via d’estinzione.

Molti soggetti hanno una storia particolare. Una è quella dell’impianto di liquefazione di gas naturale di Korsakov. Un immenso impianto bianco, dal costo di oltre 20 miliardi, collocato con le sue ciminiere che sputano fuoco in una meravigliosa baia del Sud dell’Isola, affacciata sul versante giapponese. Gli impianti del genere al mondo sono pochi e questo è il primo mai costruito in Russia. Da allora le donne di Korsakov vanno a prendere il sole nella spiaggia di fianco all’impianto, guardando le navi portare via il gas, proprio quando gli ingegneri americani, giapponesi e turchi fanno la pausa pranzo. Ed è così che le zie di Yuliya hanno trovato mariti stranieri.

C’è una foto a cui sei particolarmente legata e che ti rappresenta più di altre?

Questa è Bibi, una bambina nata a Langar, ultimo villaggio degno di questo nome della valle di Wakhan, che il fiume Panj taglia in due parti: una tagica e una afghana. Bibi ha tante sorelle belle e sveglie, ma suo papà ha intitolato la guesthouse come l’unico figlio maschio, Nuriddin. Eppure Bibi era di gran lunga la bambina più intelligente e sorprendentemente adulta per i suoi 7 anni. A scuola, Bibi e gli altri studiano russo e inglese, e le poche parole che sapevano nelle due lingue aumentava incredibilmente le nostre possibilità comunicative. Prima di quella foto avevo improvvisato una lezione compartecipata con i bambini della guesthouse. Avevo preso il libro di inglese della quarta classe, una brutta traduzione in tagico di un libro russo d’epoca sovietica, in cui invece della Union Jack e dei bus a due piani di Londra c’erano solo testi sulla bellezza di San Pietroburgo e su Yuri Gagarin, “a hero”, come recitava il libro in stampatello e grassetto. C'erano tanti bambini in quella famiglia, tutti tremendamente gioiosi e curiosi, ma io leggevo solo per Bibi, che si infervorava rispondendo in quattro lingue ai miei quiz sulla frutta, sulla verdura e sugli animali. Finché, pensando di fare una domanda facile, non ho puntato il dito verso un grosso limone giallo disegnato al centro di un cesto di frutta. I bambini hanno iniziato a consultarsi rapidamente, agitatissimi, ma Bibi sapeva già la risposta: - banana! -, ha urlato, saltando per aria a braccia aperte. Abbiamo riso tantissimo, coccolandoci come se fossimo due sorelle. E mentre ridevo pensavo che, in effetti, nella valle di Wakhan non ci sono né banane né limoni: e Bibi era riuscita a insegnarmi persino questo.

Per scoprire di più sui viaggi, le storie e sul mondo di Eleonora, visita il suo blog, la sua pagina Facebook, o il suo profilo Instagram. Ringraziamo Eleonora per l'interessantissima intervista che ci ha permesso di fare e le auguriamo il meglio per le sue prossime avventure in giro per il mondo!

Scritto da pippilangstrumpf il 2019-08-07 in

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