Lomography x Spazio Labò - Inconscio Tecnologico: Intervista a Cecilia Piazza

Lo scorso marzo si è tenuto un interessantissimo laboratorio nato dalla collaborazione tra Spazio Labo' e Lomography: stimolati dal saggio di Franco Vaccari, Fotografia e Inconscio tecnologico, in cui l’autore invita alla riflessione sullo strumento di ripresa e sul significato della fotografia nella società contemporanea, i partecipanti sono stati invitati a sviluppare un progetto fotografico con le fotocamere medio formato Diana F+, rullini Lomography e il kit di scansione DigitaLIZA Max. In questa intervista incontriamo Cecilia Piazza, che ci parla del suo progetto incentrato sulle doppie esposizioni.

"Ogni pezzetto che avanza, ritagliata la parte principale" © Cecilia Piazza

Ciao Cecilia, benvenuta sul nostro Online Magazine! Potresti fare una tua piccola presentazione per i lettori del nostro Online Magazine?

Bolognese di adozione, mi occupo di graphic design, comunicazione visiva e illustrazione (@cecilia_piazza_) sia come libera professionista che all'interno di una piccola cooperativa che si occupa di “educazione ai media” nella fascia scolare (www.zaffiria.it)

Raccontaci del tuo background fotografico: quando hai iniziato il tuo viaggio nel mondo della fotografia?

Mi sono appassionata alla fotografia da adolescente, mi divertivo a inscenare fotografie “impossibili” e curiose. Più tardi, mentre studiavo progettazione editoriale a Urbino ho avuto l’enorme fortuna di poter frequentare, parallelamente al mio percorso di studi, alcuni corsi di fotografia analogica. Mi sono legata indissolubilmente alle pellicole, al tempo di riflessione che richiedono.

"Ogni pezzetto che avanza, ritagliata la parte principale" © Cecilia Piazza

Cosa ti ha spinto a mandare la tua candidatura per partecipare a questo progetto speciale in collaborazione con Spazio Labò?

Vaccari è sempre stato di grande ispirazione per me; come accennavo ho studiato grafica per l’editoria, ho approfondito nella tesi lo studio del libro fotografico, e sono sempre stata affascinata dalla straordinaria concezione che ne aveva Vaccari.

I suoi volumi fotografici non si limitavano ad essere "cataloghi”, ma compivano sempre un passo in più, concentrando il significato ultimo, il concetto che stava alla base delle installazioni, ma in modo diverso -a volte anche del tutto opposto- rispetto alle omonime mostre, rendendo le pagine sorprendenti e pregnanti.

Penso a “Gratta e Vinci (Installazione in tempo reale n. 26)” dove le immagini zoomate su volto e mani di chi tentava la fortuna rappresentano e analizzano (anche polemicamente) gli effetti della rincorsa ai falsi miti, oppure a “Provvista di ricordi per il tempo dell’Alzheimer”, dove le poche immagini scontornate e isolate sono l’antitesi dell’affollata installazione, ma riescono a simulare il (vano) tentativo di archiviazione dei ricordi.

Inoltre mi trovavo in un periodo di stallo dal punto di vista creativo; non ho fatto quasi nulla in ambito fotografico negli ultimi 2 anni (dal primo “lockdown”). Un progetto come questo, con alcune limitazioni imposte, era esattamente quello di cui avevo bisogno per riprendere la pratica.

"Ogni pezzetto che avanza, ritagliata la parte principale" © Cecilia Piazza

Per questi scatti hai utilizzato la nostra fotocamera medio formato Diana F+: quali sono le caratteristiche che hai apprezzato maggiormente?

In primis ho apprezzato la possibilità di doppia esposizione (su cui ho basato il progetto), inoltre mi è piaciuta l’immediata sensazione di spontaneità che è capace di trasmettere, sia a me che la utilizzavo, sia a chi veniva inquadrato.

Parlarci del concetto dietro questa tua bellissima serie.

Ho lavorato sperimentando con una caratteristica tecnica e identitaria della Diana, con cui non mi ero mai confrontata prima: la doppia esposizione.

Nella serie ogni fotogramma è il risultato di un identico processo di costruzione, in ogni immagine convivono due livelli di realtà tra loro opposti, ma tangenti. Il primo scatto è stato dedicato alla rappresentazione della città di Bologna, attraverso i suo elementi architettonici più caratteristici: i portici. Ho considerato queste architetture come palcoscenici vuoti, pronti a mettere in scena, attraverso il secondo scatto, frammenti inattesi. Con la seconda ripresa ho quindi registrato la presenza umana sotto e intorno a quei portici, restituendo vita ai ‘dimenticabili’ ritagli d’ombra.

"Ogni pezzetto che avanza, ritagliata la parte principale" © Cecilia Piazza

Quali tecniche creative hai sperimentato per questo progetto? La tua ricerca ha portato a qualche scoperta interessante di cui vorresti parlarci?

Confrontarmi per la prima volta con la doppia esposizione è stata una bella sfida!

Da un lato volevo che la fotocamera si dimostrasse per quello che è, come descritto anche da Vaccari: un centro di attività produttiva autonoma.

Dall’altro volevo esercitare un minimo controllo, soprattutto sull’inquadratura. Ho iniziato quindi a portare con me un taccuino, sul quale registravo gli elementi inquadrati subito dopo il primo scatto, in modo da ricordare con più precisione dove fossero le zone d’ombra. Questo mi ha permesso di immaginare e gestire meglio le sovrapposizioni.

© Cecilia Piazza

Hai progetti o collaborazioni interessanti in programma legati alla fotografia analogica?

Sto sperimentando con la stampa calcografica e a tampone sopra ad alcune immagini di architetture che ho scattato su pellicola tra il 2015 e il 2020, ma non saprei se chiamarlo “progetto”. Per ora è una serie di test, e l’uso della Diana durante il workshop ha sicuramente contribuito a porre le basi per l’idea!


Segui Cecilia sul suo profilo Instagram per vedere tutti i suoi lavori.

Scritto da melissaperitore il 2023-07-03 in #gear #dianaf #medioformato #lomodiana #spaziolabo

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