Storie “Fuori Dai Radar”: il Progetto di CTRL Magazine tra Letteratura e Fotografia

Abbiamo intervistato la redazione di CTRL, un magazine, ma anche una casa editrice, che intercetta e pubblica storie "fuori dai radar" e ne realizza volumi in cui la fotografia accompagna la letteratura e viceversa, caratterizzati da una cura grafica davvero notevole.

© CTRL Magazine

Ciao CTRL! Che bello avervi sul nostro Magazine! Potreste presentarvi ai nostri lettori?

Innanzitutto, è un piacere essere ospiti di Lomography. CTRL è un magazine e una casa editrice che si occupa di reportage narrativo e fotografico. Oggi siamo presenti in più di 130 librerie indipendenti in tutta Italia con le nostre pubblicazioni, e parallelamente usciamo con dei contenuti sul nostro sito, nel quale è ben visibile la natura duplice di CTRL: da un lato testo e scrittura, dall’altro immagine e fotografia. Ci piace pensare a queste due componenti come complementari e allo stesso tempo indipendenti: spesso la fotografia viene presentata come ancillare rispetto alla parola scritta, mentre per noi è un mezzo efficace per raccontare in maniera immediata aspetti non catturabili nel processo di scrittura – così come certe sfumature riescono ad esser trasmesse solo attraverso il racconto che si dispiega sulla pagina. Per questo in redazione abbiamo ruoli e responsabilità diverse, e ne nasce un confronto sempre stimolante.

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Quando è nato il vostro progetto e come si è evoluto nel tempo?

CTRL nasce nel 2009 a Bergamo come piccola fanzine tascabile, pinzata, distribuita a mano nei locali, nelle librerie, in biblioteca, in stazione, per strada. Inizialmente, l’idea era raccogliere gli eventi che, un po’ sottotraccia, in realtà proliferavano ogni settimana e ogni mese in città e in provincia; l’intento era provare a smontare uno stereotipo abbastanza radicato secondo il quale “a Bergamo non succede niente”. Fin da subito ci sono state rubriche dedicate a luoghi appartati e persone che non avrebbero mai conquistato le prime pagine dei giornali; ma nemmeno le seconde, le terze, le quarte. Proprio quei luoghi e quelle persone “fuori dai radar” che, negli anni successivi, sarebbero diventati il centro della nostra linea editoriale. Andando a grandi balzi, a partire dal 2014 CTRL esce dalle mura di Bergamo e inizia a essere distribuito anche a Brescia e Milano. Poi, nel 2018, il salto (che poteva essere anche un salto nel vuoto): CTRL diventa casa editrice. Il primo dei titoli pubblicati è “Stiamo scomparendo”: un viaggio narrativo e fotografico in cinque luoghi d’Italia in cui la lingua madre non è l’italiano. Dalle fanzine pinzate si passa così alla produzione di libri e di altri progetti, come ad esempio Le Latte, la nostra collana dedicata esclusivamente alla fotografia.

Nel 2019 la redazione s’imbarca in un progetto durato tre anni e tre libri: la “Trilogia normalissima”. “Gli ultrauomini”, la prima uscita della serie, raccoglie 11 storie vere di “terrestri d’Italia in contatto con altre dimensioni; insieme, un progetto fotografico sulle tracce delle maschere del folklore italiano: uomini che quando indossano la maschera non sono più tali, ma ponti tra questo mondo e un altro. Ultrauomini, appunto. Il secondo titolo, “I dimezzati”, è dedicato a 13 storie di uomini e donne a metà, o dalle doppie vite. A livello fotografico, per il secondo volume il lavoro è stato di natura archivistica, poiché abbiamo proposto una selezione delle fotografie, rese anonime, dei pazienti internati nell’ex Ospedale Psichiatrico San Niccolò di Siena – con l’idea di accostarci al binomio mente e corpo, individuo e società, normalità e presunta follia. Poi, il terzo libro, “Gli estinti”: 18 reportage intorno a “anime e luoghi che furono e che sono”, accompagnati da un servizio fotografico realizzato nel laboratorio di un tassidermista di Padova.

Da pochi mesi, infine, è stata inaugurata una nuova collana: Le latte di CTRL: si tratta di reportage interamente fotografici, sempre fuori dai radar, inseriti – appunto – in una latta. La prima uscita, “Un’estate fa”, è un viaggio di 21 fotografi in un’Italia sospesa tra chiusure e aperture, tra pandemia e un’inedita normalità.

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CTRL non è solo Magazine, ma anche Books, tra cui i tre stupendi volumi della Trilogia Normalissima. In base a che elementi selezionate i vostri autori e fotografi?

È una domanda che ci viene posta spesso. Non c’è un vero e proprio “metodo”; siamo molto aperti a collaborazioni, e spesso ci vengono proposti reportage che, se adatti alla nostra linea editoriale, decidiamo di pubblicare. In genere, se abbiamo intercettato una storia che vogliamo approfondire pensiamo a chi possa essere adatto a raccontarla – a livello narrativo tanto quanto fotografico. Non è un discorso legato esclusivamente alla bravura, all’originalità della penna o dello scatto: piuttosto, è cercare di trovare la persona giusta per la tale storia. Come se cercassimo una sorta di affinità elettiva, anche in base alla singola sensibilità e al rapporto, spesso molto stretto, che finisce per instaurarsi tra autore e soggetto raccontato o fotografato. Anche perché trattandosi di reportage narrativi le due parti finiscono per trascorrere insieme molto tempo, condividendo più di quanto poi di fatto finisca nel reportage o nella selezione fotografica.

Sulla natura delle storie che scegliamo di raccontare, ci sarebbe molto da dire. Tutto si riassume un po’ in quel “luoghi e persone fuori dai radar” con cui CTRL si presenta normalmente. Ci piace raccontare vite o vicende di sconosciuti, o di soggetti normalmente non intercettati dall’interesse sensazionalistico o di cronaca. Ci piace una narrazione non ombelicale, al servizio della storia e in grado di lasciare spazio alla persona raccontata, più che a colui che ne scrive.

La fotografia ha un ruolo importante nel vostro progetto editoriale. In particolare, nel volume I Dimezzati sono presenti diverse immagini d'archivio. Secondo voi che valore e che ruolo può avere la fotografia analogica nel 2022?

Domanda interessante, e non facile. Dal punto di vista del photoediting, probabilmente un progetto scattato in digitale o in analogico non genera una differenza immediatamente percepibile, per certi aspetti. Questo perché, a lavoro commissionato, sta poi alla sensibilità e al gusto di chi scatta scegliere in quale modalità realizzare un certo lavoro. Ciò che cambia è la natura “ontologica” che differenzia le due modalità. Analogico e digitale differiscono per tempi di sviluppo, per la possibilità di visionare immediatamente gli scatti o di dover aspettare, per il numero di scatti a disposizione… A parità visiva del risultato, vista la qualità raggiunta dalle macchine odierne, forse a fare la differenza è ciò che sta “dietro le quinte”, ossia nell’approccio al soggetto che si sceglie di fotografare. Questo non implica scadere in un ragionamento di presunta superiorità dell’una o dell’altra modalità, quanto piuttosto ragionarla in termini puramente di gusto e di sensibilità personale. Più interessante diventa allora il discorso del tempo: è il cardine dell’intero processo, sia per quanto riguarda la scelta del momento più opportuno per scattare - valido specialmente per l’analogico -, quanto per la selezione dello scatto migliore: in questo caso la differenza tra analogico e digitale si rende più manifesta, specialmente perché, se col digitale non si è vincolati al numero di scatti resi disponibili dal rullino, dall’altro la selezione si fa più lunga a causa della vastità del materiale raccolto. Il centro della riflessione sta dunque soprattutto nel tempo, oltre a tutti gli altri temi che possono gravitare attorno all’universo analogico – dalle questioni più tecniche, alle fascinazioni più suggestionanti.

Un altro punto chiave sta invece nella divergenza tecnica/artigianato e tecnologia: tanto per l’analogico quanto per il digitale il risultato dipende sicuramente dai parametri impostati sin dall’inizio, che tuttavia in un caso sono modificabili in corso d’opera, nell’altro meno; inoltre, nell’analogico confluiscono anche alcune interazioni più “alchemiche” (acidi, luci...) che determinano il risultato finale. Inoltre, la dimensione creativa si estrinseca tanto nella fase di scatto quanto nella post-produzione, che nel caso della fotografia analogica ha comunque un margine di imprevedibile (e irreversibile) non presente nel digitale, il che fa assumere al risultato un valore non necessariamente più elevato, ma sicuramente diverso, anche solo perché il processo di elaborazione dello scatto può diventare una componente espressiva preponderante.

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Ci sono delle storie di persone o luoghi “fuori dal radar” che vi hanno colpito particolarmente?

Sono tante. Per quanto riguarda i volumi della Trilogia normalissima, ne “Gli Ultrauomini” c’è la storia di un impresario funebre di Mirandola (Modena) che si occupa di ibernazione, o di un pensionato molisano che raccoglie messaggi in bottiglia da vent’anni, tanto per fare un paio di esempi; ne “I dimezzati” abbiamo raccontato, tra le varie, anche la storia di Lena, una ragazza di Mantova che divide il suo tempo tra l’editoria per bambini e la produzione di film porno, nell’ambito fetish; o quella di Luca, che oggi organizza team building aziendali nei boschi, mentre ieri s’era arruolato nella Legione Straniera; o, ancora, ne “Gli Estinti” si racconta la fine di una stirpe nobiliare di Chiarano (TV) attraverso i racconti dei vicini di casa dell’ultimo erede, o l’evacuazione di un intero paese del triangolo industriale siracusano.

Ci sono poi i reportage sul web, tra cui uno sulle persone elettrosensibili, o quello di una Venezia raccontata attraverso le parole di Anna, guida non vedente. Insomma, tanti universi da scoprire. Per chi vuole, beninteso.

Avete da pochi mesi pubblicato "Un'estate fa", primo numero della serie Latte. Si tratta di un reportage fotografico corale realizzato dal collettivo Arcipelago-19 raccolto proprio in una latta! Com'è nata l'idea?

L’idea è nata soprattutto dall’esigenza di voler portare lavori fotografici alla portata di tutti, attraverso un mezzo che fosse accessibile: normalmente i libri fotografici hanno costi elevati, complice la qualità della carta e la grandezza del formato; inoltre, generalmente si è vincolati alla scelta di poche “desiderata” da acquistare, per la stessa motivazione. Le Latte sono un progetto che vorrebbe colmare proprio quel varco tra interesse per un progetto fotografico e sua fruizione. Anche dal punto di vista del formato: ogni Latta raccoglie una selezione di circa 20 fotografie in formato 10x15 (l’equivalente di una cartolina), le quali non hanno una sequenza stabilita dai photoeditor: ogni lettore può sfogliarle, sparpagliarle, mettersi nei panni di chi ha dovuto a monte operare una selezione e decidere la propria sequenza, fare il proprio editing far scaturire in modo libero accostamenti da noi stessi non pianificati. Volevamo fosse un oggetto dinamico e che fosse vissuto, discusso, da chi lo ha tra le mani. Sottolineiamo la parola oggetto, che vale anche per i libri della trilogia: come casa editrice sin da subito abbiamo voluto tornare alla matericità della carta, alla lentezza e al piacere non solo della lettura ma anche della fisicità di una pubblicazione. Per le Latte, poi, abbiamo fatto un particolare lavoro di ricerca della carta e della qualità di stampa che valorizzasse comunque il contenuto proposto: ci piace pensare che chi ha tra le mani le fotografie possa godere di uno scatto senza la distorsione di colori e illuminazione operata dallo schermo.

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C'è qualche nuovo progetto in arrivo?

Possiamo anticipare poco, non per gratuito senso del mistero quanto perché davvero abbiamo diversi progetti in cantiere ancora tutti da definire per contenuti e direzione. Siamo già al lavoro sulla seconda uscita delle “Latte” (questa volta monografica, a differenza di Un’estate fa che invece è stato un lavoro corale), e abbiamo iniziato a pensare al nuovo progetto editoriale post Trilogia. Si prospetta un 2023 denso.


Grazie CTRL per questa interessante intervista! Segui tutti i loro progetti sul sito e su Instagram.

Scritto da ludovicazen il 2022-11-22 in #cultura #books #magazine

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