Essere donna e viaggiare per il mondo

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Oggi è la giornata internazionale delle donne.

Mi piacerebbe parlarvi di Linda McCartney, Patti Smith, di mia madre, delle mie sorelle e di tutte le altre donne che mi hanno ispirato nel diventare una fotografa. Questo 8 marzo invece, l'articolo lo dedico a Marina Menegazzo e María José Coni.

Le donne viaggiano per sentirsi piccole o grandi, per perdersi, per scrivere libri, vedere le ingiustizie del mondo, cambiare la storia, crescere, curare le ferite d'amore e imparare le lingue del mondo.

Ho viaggiato parecchio, e ovunque sono sempre stata accolta con estrema gentilezza, generosità infinita, ma anche un forte pregiudizio nell'essere una donna che viaggia da sola.

In Cina sentivo gli sguardi fissi degli uomini che, con la bocca spalancata, ci facevano poi foto per strada. In Europa mi sono abituata a ricevere apprezzamenti mentre camminavo, a dover cambiare percorso, a volte seguita da qualche ubriaco. Su un aereo per il nord d'America un uomo si è rifiutato di sedersi accanto a me. In Turchia non mi hanno permesso di dormire vicino a mio fratello, su due divani separati da diversi metri. In America del Sud ho conosciuto una realtà dove le donne sono inseguite, importunate, assillate ed esasperate: per strada, a scuola, sui mezzi pubblici, al lavoro, nei bar--di giorno e di notte.

E poi ci sono le domande che tutti abbiamo già sentito.

“I tuoi genitori ti lasciano viaggiare da sola in questo modo?”
“Cosa ne pensa il tuo ragazzo?”
“Non ti fa paura viaggiare da sola?”
“Non dovresti stare in un quartiere del genere a quest'ora.”

Queste prediche mi fanno ribollire il sangue. Come donne, sembra che la nostra libertà e indipendenza siano viste come un segno di sconsideratezza, insolenza, o addirittura provocazione. Come se il fatto di viaggiare dove, quando, e in compagnia di chi vogliamo fosse una sorta di atto di arroganza.

Ho camminato nel deserto, attraversato laghi e stoiche catene montuose. I miei anni in viaggio sono stati i più preziosi della mia gioventù; ho scoperto l'amore per la fotografia, ho incontrato persone che hanno cambiato la mia vita e imparato più che rispetto a quanto la scuola mi abbia mai insegnato.

Circa un anno fa, Marina Menegazzo e María José Coni sono partite con lo stesso fuoco interiore. Hanno lasciato la loro città natale di Mendoza nell'Argentina centrale, che ho tra l'altro attraversato da sola con lo zaino in spalla qualche estate fa. Di 21 e 22 anni, hanno raggiunto il Peru e l'Ecuador. Dopo un paio di settimane di viaggio, avrebbero dovuto prendere un aereo di ritorno per Santiago del Cile e da lì un autobus per tornare a casa--la stessa lunga traversata in bus che una volta ho fatto anche io con le scarpe piene di sabbia e la testa piena di meraviglia. Non sono mai arrivate su quell'aereo.

Durante la stessa settimana, i loro corpi sono stati trovati in buste nere per l'immondizia, buttati su una spiaggia in Montañita, in Ecuador. Qualche notte prima avevano incontrato due uomini che, poco dopo, avevano cercato di violentarle. Nel tentativo di resistere, le ragazze furono entrambe uccise--María José con un colpo alla testa che le ha frantumato il cranio, Marina a causa di profonde pugnalate.

E poi, ovviamente, sono saltate fuori le solite domande. In tutta l'America del sud i media si sono disperati sulle due ragazze che viaggiavano "da sole". Giornali e giornalisti fecero speculazioni a proposito della loro scelta di fare l'autostop, sul modo in cui avevano deciso di spendere i loro soldi. Fecero domande ai genitori in lutto su come le avessero allevate. La giornalista argentina Mariana Sidoti scrisse su Twitter:

“Erano due donne, legalmente adulte, in viaggio insieme. Ciò nonostante erano 'da sole'. Sole rispetto a cosa? Chi è che mancava? Erano in due. Ma siccome sono nate donne, essere in due non è stato abbastanza. Per non essere 'da sole', mancava loro qualcosa... indovina cosa.”

Sulla stampa occidentale non fu fatta menzione di questo caso. Qualche accenno sui media di lingua inglese, qualche breve articolo seppellito tra i risultati di Google. Come se per il nostro mondo occidentale la brutalità di genere, l'assassinio incentivato dalla cultura del "macho" e la negazione di diritti fondamentali alle donne in sud America non fosse una "notizia". Come se il fatto di essere nate donne, in una società patriarcale e regione dominata dagli uomini, rendesse la loro tragedia minima, i crimini prevedibili e le loro morti non un nostro affare.

Per María José e Marina, abbiamo il dovere di continuare a raccontare le loro storie. Dobbiamo continuare a girovagare in libertà, ad allontanarci dal sentiero battuto, a dormire sotto stelle sconosciute e rincorrere la luce fredda del mattino su una collina. Noi, in quanto donne, dobbiamo perseverare nel viaggiare in lungo e in largo, ballare scalze e lasciare che il vento ci accarezzi i capelli salati.

Questo è un omaggio a due ragazze, e alla femminilità dei paesaggi selvaggi nei quali passeggeranno per sempre.

Dobbiamo ricordare la storia di queste due donne, le cui vite sono state spezzate per aver osato essere libere.


Kamila K Stanley è una fotografa inglese-polacca, i cui lavori sono stati pubblicati su numerose riviste come Dazed & Confused e VICE, ed esposti in giro per il mondo.

Tutte le immagini sono di Kamila K Stanley. Visita la LomoHome di Kamila e seguila sul suo sito, Facebook e Instagram.

Scritto da Kamila Stanley il 2017-03-08 in #luoghi

2 Commenti

  1. sirio174
    sirio174 ·

    gran bell'articolo, che condivido in pieno. E gran belle foto

  2. sirio174
    sirio174 ·

    @ilcontrariodime Hai pienamente ragione

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