Callitipia, Metodo Van Dyke o Stampa Bruna: Tipster di Roberto Bramati

Per celebrare il Film Photography Day volevamo presentarvi un tipster analogico al 100%: Roberto Bramati, che qualche mese fa avevamo intervistato in merito alle sue sperimentazioni fotografiche con la nostra Lente Artistica Daguerreotype Achromat, in questo articolo ci introduce al meraviglioso mondo della Callitipia.

© Roberto Bramati - Callitipia con apposizione di una scritta in giapponese dittico su unico foglio. Modella: Alison. Fig. AlSh

Callitipia, Kallitype, Stampa Bruna, metodo Van Dyke, sono dei processi fotografici di stampa, facenti parte delle cosiddette “Tecniche fotografiche alternative” relative ai Sali argento-ferrici, come la Cianotipia e Argirotipia. Vengono chiamate altresì “tecniche antiche fotografiche” poiché furono sperimentate intorno al XIX secolo.

Storicamente sono il frutto di studi condotti da John Herschel (Argentotipo) sulla sensibilizzazione dei Sali ferrici e d’argento tramite la luce ultravioletta alla metà dell’800. Introdusse dei termini che ora sembrano scontati ma prima di lui non esistevano, come fotografia, negativo e positivo. Da queste basi venne elaborato un nuovo processo nel 1889 da W.J. Nicol. Successivamente, altre sperimentazioni migliorarono le formule originarie, come ad esempio il metodo “Van Dyke”, così chiamato in onore al pittore fiammingo per i toni color bruno/seppia presenti in molte sue opere, concepito da Arndt e Troost e brevettato in Germania a fine ottocento e attualmente molto diffuso. Gli esempi che seguono sono riconducibili a questa tecnica. Il motivo delle diverse denominazioni è dovuto alle molteplici varianti di processi analoghi, sebbene con alcune differenze di resa e stabilità dell’immagine.

Callitipia ad esposizione singola di un fotomosaico in istantanee. Modella: Mendy.

Il processo si svolge con la preparazione di un composto chimico da cospargere su una superficie, generalmente carta, sovrapponendo un negativo a contatto ed esponendolo alla luce del sole; in tal modo viene impressionato il foglio di carta. Successivamente, con un risciacquo ed un fissaggio, l’immagine prende forma e viene fissata in maniera definitiva, analogamente ad una stampa fotografica o allo sviluppo di un negativo, il cui ultimo passaggio “il fissaggio” serve a rimuovere dall’immagine i sali ferrici/argentei in eccesso non sensibilizzati dalla luce.

Esaminiamo nel dettaglio alcuni passaggi del processo di stampa:

Scelta del supporto cartaceo di base

Per queste stampe si utilizzano delle carte pregiate, con una qualità superiore di grammatura e resistenza, in modo che nelle varie immersioni non risultino fragili (specialmente quando sono bagnate) e che quindi non si lacerino maneggiandole. Nei vari passaggi tra un bagno e l’altro e nella posa per l’asciugatura vengono manipolate diverse volte. L’ideale sono le classiche carte da acquarello meglio se in fibra di cotone.

© Roberto Bramati - Stampa su carta ruvida. Modella Erika

Il supporto cartaceo, che é quello più utilizzato, non é il solo su cui trasferire l’immagine; è possibile altresì il trasferimento di una Callitipia su stoffa o altri materiali. La scelta del supporto è fondamentale perché contribuirà in maniera determinante al risultato finale.

Una carta ruvida produrrà una minor definizione ma al contempo un effetto artisticamente apprezzabile. Essendo una superficie irregolare, nel momento dell’esposizione produrrà delle zone microscopiche di ombra; a questo proposito nel momento dell’esposizione alla luce solare va ruotata la stampa affinché i raggi solari cadano sulla stampa da più angolazioni. Inoltre, la distribuzione dell’emulsione sarà maggiore negli avvallamenti che nelle sommità micrometriche.

© Roberto Bramati - “Barocco Piemontese” Metodo Van Dyke (model Yana)

Una carta liscia darà invece un effetto più definito alla stampa. Tra questi due estremi vi sono molteplici differenti tipologie. Le varie qualità di composizione della carta, dal vergato al semi ruvido etc...Con frequenti variabili significative tra una marca e l’altra. Quindi un tipo di supporto è da utilizzare per ottenere uno specifico effetto voluto sulla stampa finita.

Emulsione per sensibilizzare la carta

Il metodo Van Dyke utilizza le seguenti componenti:

  • Ferro Ammonio Citrato Verde - 27g in 100ml di acqua distillata (sol. A)
  • Acido Tartarico - 5g in 100 ml di acqua distillata (sol. B)
  • Argento Nitrato - 12g in 100 ml di acqua distillata (sol. C)
  • Fissaggi
  • Acido citrico - 3 gr in 100ml
  • Sodio Tisolfato (fissaggio di Herschel) - 30g in 1000ml di acqua distillata.

Mescolati questi composti in acqua, separatamente, si ottengono quindi 3 boccette di soluzione liquida distinte, più una o due di fissaggio per la seconda parte della lavorazione.

Il bagno in acido citrico non è determinante; può essere non eseguito anche se consente una stampa migliore. C’è anche chi effettua un ultimo passaggio con del sale da cucina (Cloruro di sodio), un tipico fissativo delle tinture naturali sui tessuti. Io ne faccio uso quando stampo su carta con fibre di cotone. Relativamente all’acido citrico, quando non se ne dispone, si possono utilizzare dei limoni spremuti, sempre diluiti nell’acqua. In questa soluzione vanno sciacquate per circa due minuti prima dell’ultimo bagno fissativo.

Mescolando in eguale quantità A+B e successivamente il Ferro Ammonio Citrato, diluizione C (sempre in egual misura), si ottiene il composto per cospargere il foglio di carta, chiaramente in penombra o con una luce tenue, poiché il composto è sensibile ai raggi uva.

I composti idratati, fino al loro utilizzo, vanno tenuti separati e conservati in boccette ambrate protetti dalla luce. Se conservati in luogo fresco e buio hanno una durata anche di alcuni mesi, dopodiché tendono a degradare riducendo gradualmente la loro efficacia. Il composto di A+B+C (in egual misura) va mescolato molto bene e lasciato riposare per 24/48 ore dopodiché è possibile utilizzarlo. I Sali (in forma di cristalli) invece si possono conservare a lungo.

Questi prodotti chimici si trovano agevolmente online, sia in kit già pronti per l’utilizzo, che separatamente per produzioni più massive.

Sensibilizzazione della carta

Il composto va distribuito uniformemente sul fogli di stampa avendo cura di non lasciare aree vuote, in quanto creerebbero antiestetiche macchie bianche nella stampa finale (fig. EF). Si può utilizzare un pennello o una spatola a spugna, oppure un rullo, a condizione che questi strumenti non abbiano parti metalliche. La distribuzione sul supporto può essere eseguita con un contorno definito con l’ausilio di un nastro di carta per ottenere dei bordi regolari, oppure lasciando la pennellata libera formando delle frange frastagliate. L’importante è riempire integralmente l’area al cui interno verrà posizionato, il negativo, sovrapponendolo, in modo da non troncare l’immagine.

Un’altra tecnica è quella di creare delle mascherature ovali o a cerchio, con del cartoncino nero, stratificandole (tra il negativo e il vetro) in fase di esposizione alla luce; ottenendo in tal modo un’immagine dai contorni delle mascheratura. Chiaramente a quel punto l’emulsione va stesa non oltre la maschera definita.

Sempre con questa tecnica possono essere aggiunte scritte, caratteri ideogrammi come nel caso della fig. AlSh.

Usando carte particolarmente ruvide bisognerà essere generosi con la soluzione fotosensibile, mettendone una quantità maggiore, poiché si avrà un maggiore assorbimento. Passando più volte con il pennello al fine di ottenere una distribuzione omogenea, senza aree prive di emulsione fotosensibile. Terminata la distribuzione occorrerà asciugare più rapidamente possibile i fogli. Può essere d’aiuto un asciugacapelli, avendo cura di escludere la funzione calore che danneggerebbe l’emulsione, oppure un ventilatore o quantomeno generare una corrente in modo che circoli l’aria facilitando l’essiccazione. Se il supporto non ha una grammatura abbastanza consistente (tra i 220 e i 300g) potrebbe tendere a bombarsi ed allora sarà necessario fissarlo con del nastro carta su una superficie rigida. La deformazione del foglio potrebbe far spostare l’emulsione ancora bagnata verso il centro o verso le estremità creando delle diverse concentrazioni che renderebbero la stampa difforme nei toni.

© Roberto Bramati - Esempio classico di deformazione centrale con conseguente assottigliamento della chimica verso il centro e concentrazione nei bordi. Modella: Erika

Terminata l’essiccazione bisogna verificare i fogli controllando che non siano stati lasciati buchi, aree vuote senza emulsione, in tal caso ripetere l’operazione su tutto il foglio e non solo in quei punti specifici. Di solito eseguo questo procedimento la notte ed asciugo con un ventilatore in una stanza con luce attenuata e la finestra aperta, riponendo poi i fogli emulsionati ed asciutti in buste nere come quelle utilizzate per fogli da stampa fotografica fotosensibile; altrimenti creare una busta con fogli bristol neri piegati, in modo da non far entrare la luce all’interno può essere una soluzione specialmente per stampe fuori formato. Come analogia si può tranquillamente procedere come se si stesse trattando una pellicola ortocromatica, cioè sensibile non a tutte le lunghezze d’onda per cui trattabile a luce rossa o luce attenuata.

Se i fogli vengono riposti non ancora completamente asciutti o non vengono essiccati rapidamente l’emulsione potrebbe assumere un colore verdognolo, invece del giallo vivo della situazione corretta. Possono essere utilizzate ugualmente ma è comunque una degradazione dell’emulsione di sviluppo e genererà delle stampe non ottimali, questo è un altro riscontro visivo di come striamo procedendo.

Preparazione del negativo

Per effettuare la stampa adesso abbiamo bisogno di un negativo. Il negativo può essere fotografico tradizionale oppure creato digitalmente. Il formato della Callitipia, in quanto stampa a contatto diretto, sarà equivalente a quello del negativo, per cui utilizzando un classico 135 mm o i formati 120 e 127 si otterrebbero delle cianotipie molto piccole e poco significative (al massimo 6x9cm) quindi come impatto visivo si avrebbero dei francobolli, troppo piccoli per essere apprezzabili, tenendo anche conto della perdita inevitabile di definizione. Un formato accettabile è da 10x15 cm in su. Ciò permetterà una migliore fruibilità della stampa. Personalmente preferisco almeno dimensioni tipo 18x24cm o A4, più fruibili per esposizioni ed installazioni. Se si dispone di un banco ottico si può creare un negativo fotografico di dimensioni significative 8x10"/20x25cm o un 5x7"/13x18cm
In camera oscura ad esempio si possono produrre dei negativi dalle diapositive etc...

Di seguito alcuni esempi di Callitipia partendo da un negativo digitale:

© Roberto Bramati - Il ritratto ambientato, stampa con il metodo Van Dyke (modella Elisa)

Non avendo l’opportunità di utilizzare una camera oscura e/o delle apparecchiature professionali si può usare una foto digitale invertita a negativo e stamparla su un lucido. Attenzione non una carta da lucido biancastra che allungherebbe di gran lunga i tempi di posa alla luce ultravioletta, bensì una carta da lucido trasparente come quelle proiettate da lavagne luminose nelle conferenze.

Con dei programmi fotografici è abbastanza semplice realizzarli convertendo in negativi le foto digitali e poi stampandoli con una fotocopiatrice/stampante laser su lucidi trasparenti, è un servizio che fanno abitualmente anche le copisterie. Il tipo di stampante/fotocopiatrice dovrà essere di qualità superiore in modo da non fare vedere una “retinatura” nel negativo finale, tipico delle fotocopiatrici B/W di vecchia generazione. Sempreché non sia voluto questo effetto , come ad esempio nei disegni fumettistici o di pop art come l’artista americano Roy Lichtenstein (1923-1997) nelle cui opere invece il pattern svolge un ruolo significativo.

© Roberto Bramati - Ritratto in Callitipia. Modella: Elisa. fig. EF

Nel caso di utilizzo di veri negativi fotografici talvolta i tempi di esposizione possono risultare notevolmente più lunghi proprio per la loro composizione stratificata atta ad evitare le indesiderate esposizioni di riflesso (uno strato antialone che impedisce alla luce di essere riflessa verso l’emulsione). Non tutte le pellicole hanno questo strato comunque va tenuto presente perché è un fattore che incide sui tempi di esposizione (A.H.U. Anti Halation Undercoated). Potrebbe essere opportuno, in questi casi, digitalizzare il negativo e stamparlo su lucido, anche se può sembrare un controsenso in termini.

Tornando allo svolgimento del processo, si sovrappone il negativo a diretto contatto con il foglio emulsionato; si mette il tutto in un torchietto o in una cornice a giorno; avendo cura che sia ben pressato, in modo che i due fogli siano coesi e non distanziati, altrimenti in quei punti di distacco, anche millimetrico, la stampa verrà sfocata. A questo proposito una lastra di vetro, posizionata sopra lo strato, aiuta a tenere il tutto a pressione. Su una Callitipia molto grande può essere necessario aggiungere dei pesi per facilitare il tutto, avendo l’accortezza che l’ombra dei medesimi non ricada sulle porzioni della stampa.

Callitipia su carta extra liscia 220gr in fibra di cotone (modella Erika)

Nel caso della Callitipia di un foto-mosaico per poter avere un’esposizione omogenea con luce solare, la cosa migliore risulta essere un’esposizione contemporanea di tutti i negativi. O su singoli torchietti ma esposti contemporaneamente oppure tramite un torchietto/cornice a giorno più grande, usando fogli singoli o foglio unico di dimensioni maggiori. Questo per non avere singole porzioni con tonalità differenti (vedi fig. DM). Utilizzando invece una lampada uva , quindi a luce costante, si possono anche effettuare separatamente, avendo l’accortezza di usare sempre i medesimi tempi di esposizione lavaggio e fissaggio.

© Roberto Bramati. Fase del fissaggio Callitipia finale. Modella: Lisa

Adesso si é pronti per l’esposizione solare

Strato di carta con emulsione, negativo e lastra di vetro che pressa il tutto.

Si mette il tutto in pieno sole per il tempo necessario. Questo può variare a seconda della stagione e della giornata da pochi minuti a decine di minuti. Il momento ideale è con il sole alto e perpendicolare alla stampa, l’assenza di nuvole consente di non dover fare degli aggiustamenti sui tempi in corso d’opera.

Determinare i giusti tempi vuol dire considerare tutte le variabili (stagione, nuvole , foschia, altezza del sole, stato dell’emulsione (se è stata preparata di recente o vecchia) per cui la cosa migliore è operare in maniera empirica, sperimentale. Se non si ha ancora dimestichezza è consigliabile preparare delle strisce di prova e determinare il tempo tramite esposizioni a tempi diversi su questi campioni. Possono essere usate anche delle lampade UVA per sensibilizzare la stampa (come anticipato precedentemente), in alternativa alla luce diretta del sole. In questo modo si ha una condizione più uniforme e costante anche se priva quella parte forse emotiva del processo, stocastica, ma forse è solo un mio sentimentalismo. Tecnicamente è più facile ottenere una uniformità dei risultati e in qualunque condizione atmosferica nonché in qualunque orario si vuole svolgere il lavoro. I test di prova possono aiutarci a di ridurre gli errori da sovraesposizione o sottoesposizione anche in questo caso.

Prendendo luce, il composto inizierà a cambiare colore dal giallo al crema al marrone fino al “nero matt” colorazione che a quel punto è da ritenersi eccessiva e quindi bruciata. Si ha per cui un riscontro visivo dello sviluppo latente e prendendo la mano si inizieranno a riconoscere questi segnali per poter intervenire con eventuali aggiustamenti futuri.
Terminata l’esposizione della luce solare (UVA) bisogna sciacquare il foglio in acqua per rimuovere l’emulsione in eccesso, non impressionata, ottenendo lo sviluppo della stampa. Immergendo il foglio per circa 5 minuti in acqua corrente o in bacinella cambiando l’acqua tre o 4 volte. Successivamente bisogna fissarla con la soluzione di iposolfito (sodio tisolfato rende solubili gli alogenuri d'argento) per pochi minuti e risciacquarla in acqua corrente per circa 20/30 minuti.

© Roberto Bramati. Risciacquo finale e primo bagno di sviluppo. Modella: Redsnow.

Una volta asciutta, la Callitipia potrà essere maneggiata ed esposta essendo oramai stabile. In questi esempi ho volutamente inserito anche stampe non perfette, anzi a dire il vero sono tutte migliorabili. Si tratta di un procedimento abbastanza facile da eseguire: e che altrettanto facilmente può essere eseguito male. Eseguirlo correttamente è il difficile, niente insegna e diverte più degli errori.

Non volevo che questo fosse un articolo autoreferenziale di lavori perfetti ma uno spaccato della mia esperienza: delle difficoltà ed osservazioni riscontrate con questo tipo di stampa, un modo per fare un passo di lato e portare al centro il vero soggetto di questo articolo. Sono comunque stampe che amo moltissimo, a cui sono profondamente legato e che fanno parte della mia storia.

La Callitipia conserva anche dopo quasi due secoli un fascino particolare ed è realizzabile in modo amatoriale ed economico. E’ quella parte creativa della postproduzione “Arte della stampa” che permette di avere fra le mani un prodotto materico finito, tangibile, unico. Farne una identica, pur partendo dalla stessa matrice di stampa credo sia “umanamente” impossibile, con questa tecnica.

Per maggiore completezza di questo spaccato sulla Callitipia metodo Van Dyke esiste anche il modo di effettuare dei viraggi successivi sull’opera finita, sia totali che selettivi utilizzando altri composti. Ad esempio la trasformazione, con altri bagni chimici, delle stampe brune Van Dyke in oro, oppure viraggi al caffè, al vino rosso etc...ma questo è un altro capitolo.


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Scritto da melissaperitore il 2022-04-12 in #cultura #tutorials #callitipia #metodo-van-dyke #stampa-bruna

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