Mike Debosh, il Trapper Napoletano Ritratto da Greta Pischedda

Abbiamo intervistato la fotografa Greta Pischedda, che attraverso questi scatti esplora la quotidianità e l'intimità di Mike Debosh, trapper napoletano, con l'intento di liberare questo genere dallo stigma della “superficialità” attraverso una narrazione diversa da quella a cui siamo ormai abituati.

© Greta Pischedda

Ciao Greta, benvenuta a Lomography! Potresti presentarti ai lettori del nostro Online Magazine?

Ciao, sono Greta e ho 25 anni. Vivo attualmente a Napoli, dico attualmente perché ho sempre cercato di “scappare” da qui, da questa città per la quale ho sempre provato sentimenti contrastanti. Napoli per me è odio e amore, città di opportunità e città opprimente, casa e carcere. Inoltre, sono da sempre appassionata di fotografia. Napoli sotto questo punto di vista mi ha davvero fatto da scuola, ha ispirato gran parte dei miei scatti e tutt’oggi influenza il mio modo di fotografare. È come se mi avesse donato dei nuovi occhi.

Sono ritornata a Napoli stabilmente da poco perché, dopo lunghe riflessioni e traslochi, ho sentito l’esigenza di esprimere la mia arte nel luogo che ha generato in me l’arte. Quindi ora, essendo una fotografa emergente, sto provando ad inserirmi nell’ambiente fotografico locale, internazionale e online.

© Greta Pischedda

Raccontaci del tuo background fotografico. Qual è la tua storia? Quando hai iniziato a fotografare?

Il mio primo ricordo legato alla fotografia risale a quando avevo 4 anni. Rubai una macchina usa e getta di mio nonno e scattai foto a tutto quello che mi circondava (come il bucato steso, le foto di famiglia sulle mensole, i miei giocattoli...). Da quel momento non ho mai abbandonato la macchina fotografica. A 15 anni sono riuscita finalmente ad acquistare la mia prima reflex digitale, con i miei risparmi di un anno intero, anno passato a vendere collane, bracciali e orecchini a tutti i miei amici di scuola. A 20 anni mi sono appassionata alla fotografia analogica e a tutti i metodi di fotografia antica, quindi ho abbandonato quasi del tutto il digitale, gettandomi anima e corpo nell’analogico. Oggi finalmente riesco ad eseguire l’intero iter fotografico in autonomia: scatto, sviluppo e stampa.

Queste foto fanno parte del tuo ultimo lavoro, "Mike Debosh - The Death Boy". Quando e come è nata l'idea? Ci racconteresti il progetto?

Mike Debosh, “The Death Boy”, è il mio ragazzo. Il suo sogno è sfondare nel mondo della Trap. Per ovvie ragioni io vivo la sua quotidianità, vedo i suoi sforzi, le sue gioie, i suoi dolori o turbamenti e so che la maggior parte del suo sentire e percepire il mondo derivano dalla sua enorme passione per la musica. Ed è da questo vedere la sua quotidianità che è nato il progetto, in maniera molto spontanea. Ci eravamo da poco trasferiti in Germania, entrambi facevamo lavori che non ci appassionavano e il paese in cui vivevamo era davvero poco stimolante. Così cominciò a crescere in noi questa sensazione interna di insoddisfazione e sconforto…da quel momento ho iniziato a scattare, perché da quel momento Mike è cambiato. La sua musica, inizialmente dal mood classico della Trap, si era trasformata in qualcosa di angosciante…qualcosa che lo turbava. Da questo “dolore” sono nate canzoni con dei testi davvero impegnati, con delle basi che smuovevano emozioni e sentimenti universali. Quindi seguendo Mike e la sua evoluzione, scattando giorno per giorno le foto, ho approfondito il mondo della Trap riuscendo a mostrare la parte nascosta e profonda di questo genere e di un giovane trapper, provando a far crollare lo stigma della “superficialità” da sempre attribuito a questo mondo.

Gli scatti sono realizzati esclusivamente su pellicola. Come mai questa scelta?

Ho scelto di utilizzare esclusivamente la pellicola perché mi soddisfa di più. Mi soddisfa e mi gratifica saper di aver fatto qualcosa di mio dall’inizio alla fine tutto da sola. C’è anche da dire che io sono un’“eterna insoddisfatta” quindi le cose preferisco farle da me, non perché mi ritengo più competente o brava degli altri ma perché so che li trascinerei con me nell’immenso limbo dell’indecisione, del ripensamento e dell’ultimo ritocco.

© Greta Pischedda

Quale fotocamera hai utilizzato per questo progetto?

Le foto sono scattate con una Canon Prima Zoom 85N, una semplice “point-and-shoot”. È stata l’unica macchina fotografica che sono riuscita ad inserire nella valigia durante la mia partenza per la Germania. Prima, riferendomi alla fotocamera, ho utilizzato l’aggettivo “semplice” ma grazie a questo progetto ho dovuto ricredermi. Le foto sono molto nitide, l’esposimetro è automatico e questo mi permette di scattare bene quasi con qualsiasi condizione di luce, di scattare velocemente, poi lo zoom è stato di grande aiuto per molti ritratti che con fotocamere con ottiche fisse sarebbero stati complessi da realizzare.

La trap è sicuramente un mondo da esplorare: hai qualche altro progetto simile in mente?

La Trap ora è il nuovo culto ed è in continuo sviluppo e mutamento. Questo mi attira ma non ci farei un progetto fotografico, non mi interessa fotografare l’aspetto esteriore di questo mondo… Ecco, piuttosto mi piacerebbe fare altri progetti fotografici con altri artisti trapper emergenti o affermati, raccontandoli nella loro intimità, una volta che le luci dei riflettori si sono spente.

© Greta Pischedda

C'è un altro artista che ti piacerebbe ritrarre e che vorresti consigliare ai nostri lettori?

Beh, di artisti che vorrei ritrarre ne potrei elencare a bizzeffe, ma per restare nel mondo della Trap Music, a livello internazionale, mi piacerebbe fotografare Morad o Central Cee; a livello nazionale direi Rondo da Sosa o Baby Gang. La scelta di questi quattro artisti non è casuale: fanno Trap, sono giovani e hanno storie e background complessi che meriterebbero di essere raccontati.

La fotografia è luce e tramite questo mezzo, raccontando le storie di persone e comunità sempre emarginate e nell’ombra, cerco di far risplendere ciò che all’apparenza è privo di luce e brillantezza. Inoltre questi artisti hanno davvero rivoluzionato questo genere, riuscendo ad avere la loro storia di rivincita e riscatto e riuscendo a rendere famosa la Trap a livello internazionale. Quindi mi interesserebbe anche indagare e raccontare tramite le foto come hanno vissuto questo cambiamento radicale, di stile di vita, il rapporto con i loro luoghi d’origine e cosa hanno provato e cosa provano ora che sono al Top.


Guarda le altre foto di Greta nella sua LomoHome e su Instagram.

Scritto da ludovicazen il 2022-09-14 in #cultura #persone #cultura #trap #musica

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